L’ictus è la seconda causa di morte nel mondo ma la maggioranza dei pazienti sopravvive, seppure con importanti sequele di invalidità. Degna di attenzione pertanto è la possibilità di ridurre le conseguenze del danno cerebrale grazie a innovative “terapie di recupero”, che non vanno confuse con quelle cosiddette “neuroprotettive”, atte a limitare il danno emorragico acuto. Le “repair terapies” sono invece finalizzate a produrre miglioramenti durevoli se messe in atto quanto prima dopo l’evento emorragico. Si tratta di terapie eterogenee tra le quali  la “terapia robotica”, che si propone di migliorare in particolare la motilità degli arti in pazienti con deficit motorio grave e di lunga data. La spinta verso la terapia robotica, è nata anche a causa della difficoltà di attuare sedute fisioterapiche prolungate che incontrano vari ostacoli quali in primis l’accessibilità (pensiamo a pazienti abitanti lontano da ospedali dotati di centri riabilitativi), le liste di attesa (“nota dolens” in attuale progressivo peggioramento), la lunga durata delle sedute, costi  e, non ultimo, la pazienza richiesta sia ai pazienti disabili che ai terapisti. Per questo la terapia robotica si prefigge di indurre/migliorare movimenti attivi e passivi del paziente facendo in modo che egli stesso, azionando un dispositivo, possa attuare esercizi che lo stesso fisioterapista gli farebbe fare. Il paziente potrebbe magari iniziare l’esercizio che verrebbe poi completato dalla macchina. E’ tuttavia difficile quantificare  l’efficacia della robot-terapia principalmente a causa della popolazione inserita in studi clinici inevitabilmente eterogenea quanto a età, età dell’ictus, entità del deficit motorio, rispetto delle modalità di attuazione della terapia prefissata. Pure la depressione, che penalizza più del 30-50% dei pazienti con ictus, o le cure concomitanti, possono falsare il giudizio sulla efficacia di questo approccio. Ciononostante, il ruolo della robot-terapia è considerato promettente perché il cervello, benché alterato da un danno cronico, pare mantenere una certa inattesa plasticità. E’ dunque plausibile che grazie a questa terapia, magari associata ad antidepressivi (che aumentano la serotonina cerebrale), si possano ottenere tangibili benefici specie in malati selezionati come possibili “responders”. I robot odierni permettono di personalizzare l’intervento riabilitativo in base alle abilità residue specifiche di ogni paziente. Purtroppo, secondo A. Giustini, Direttore dell’Ospedale Riabilitativo di Arco (TN), la robot-terapia “fino ad oggi, può esser applicata nel nostro Paese solo a pochi pazienti, quelli inseriti in studi controllati, o a quelli ricoverati in centri privati, perché non è riconosciuta ancora tra le prestazioni del Sistema Sanitario: in questo modo, i diritti alla cura dei cittadini con ictus (e non solo!) sono purtroppo gravemente limitati”.

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