L’ottimismo rischia di perdersi rileggendo un’analisi di quasi 10 anni fa di cui non andrebbe cambiata manco una virgola. Allarmato per questa “disattenzione” conviene richiamarne i punti salienti. “Oxfam” (una confederazione di 17 organizzazioni non governative dislocate in 90 Paesi) è nata per combattere carestie e ingiustizia sociale e già nel 2005 ha avvertito a Davos che, se entro il 2016 se non si fosse corso ai ripari, il 50% della ricchezza sarebbe stato nelle mani dell’1% della popolazione mondiale. Ma perché ricordarlo in una rubrica di medicina? Perché una vistosa diseguaglianza sociale ha profonde ricadute sulla salute in particolare di alcune popolazioni e di alcuni ceti. La fame, le malattie e la mancanza di cure nelle aree più povere non è certo una novità, ma da sempre “non” si è insistito a sufficienza sulla difficoltà di attuare in queste aree interventi chirurgici anche molto semplici. Errore non commesso tuttavia dal sito Healthdesk che già anni fa pubblicava un pezzo dal titolo inequivocabile: “Per cinque miliardi di persone [su una popolazione mondiale allora di 7 miliardi] la chirurgia è un miraggio”. E la rivista “Lancet” scriveva al riguardo: “Troppe persone stanno morendo per patologie comuni e facilmente trattabili chirurgicamente, come un’appendicite, una frattura, un parto cesareo”. Ciò era attribuito alla mancanza di strutture minimamente affidabili o, quando raramente presenti, ai costi elevati non affrontabili da 9 su 10 pazienti africani e del Sudest asiatico. Dei 300 milioni circa di operazioni chirurgiche effettuate ogni anno nel mondo una solo su 20 veniva attuata nei 100 Paesi più poveri per cui non si sarebbero effettuati circa 140 milioni di interventi. E i chirurghi? La loro eterogenea concentrazione la dice lunga: 35 per 100 mila abitanti in Paesi ricchi come USA, GB, Sudafrica, Europa) versus 1,7 nel Bangladesh e 0,1 per 100 mila nella Sierra Leone. Nel 2010 (e poco è cambiato!) ben 17 milioni, un terzo di tutti i decessi, risultava attribuibile a malattie curabili chirurgicamente, un numero che superava quello delle morti per AIDS, malaria e tbc messe insieme (e pur esse spesso…dimenticate). Il Direttore del King’s Centre for Global Health di Londra affermava al riguardo che “La comunità internazionale non può ignorare questo problema destinato ad aumentare nei prossimi decenni, quando molti di questi Paesi [sottosviluppati] affronteranno tassi crescenti di cancro, malattie cardiovascolari e incidenti stradali”. Si stima che per ottenere entro il 2030 livelli accettabili di accesso alla chirurgia nei Paesi poveri servirebbero 400 miliardi di dollari. Purtroppo, da allora, anzi da sempre, i dollari si trovano facilmente non per sfamare e curare i bisognosi ma per fare guerre che pesano specie su coloro che di terapie e di cibo avrebbero estrema necessità.

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