Autocritica necessaria: nel trattare argomenti che riguardano medicina, cure e salute anche noi medici (e scagli la prima pietra chi è senza peccato!), usiamo talora termini inglesi poco chiari, che potrebbero essere sostituiti da parole italiane. Abbiamo inoltre già rimarcat altre volte che ciò che i dottori scrivono di medicina, specie su riviste non professionali, deve invece essere chiaro non a loro ma a chi legge. Gli esempi non mancano e ne indichiamo alcuni: “Long-term” e “Short-term” stanno per a lungo o rispettivamente a breve termine. “Trial” sta per lavoro scientifico e “Open trial “(letteralmente studio aperto) per cura non confrontata con altri trattamenti e basata cioè solo sul criterio fallace del ”prima e dopo”. A “Random” significa a caso e “Post-marketing surveillance” vuol dire monitoraggio dopo la commercializzazione. “Side-effects” equivale a effetti collaterali e “Outcome” sta per esito. “Cross-over” indica terapia incrociata: cura A che nel corso dello studio passa a cura B e viceversa). “Safety” (che non è security!) sta per sicurezza. “In- e Out-patients” dignifica rispettivamente pazienti ricoverati o ambulatoriali. A volte il termine inglese viene usato perché per tradurne il significato si spenderebbero troppe parole. Ad esempio, “Double-blind”, letteralmente a doppio cieco, è espressione oscura e bisognerebbe precisare che la cecità non c’entra niente e indica solo che la cura è confrontata con placebo (o altro agente) senza che medico e malato entrambi consenzienti a “non” esserne informati) conoscano quale sia il preparato assunto. All’università, solo la vanità personale spinge talora il docente a ostentare la conoscenza di più lingue. Quando ancora ero studente a PD un cattedratico chirurgo parlava correttamente quattro lingue e anche a lezione usava di continuo termini inglesi, francesi e tedeschi non necessari. Per questo noi studenti, invece che entusiasmarci, lo si considerava un pallone gonfiato. L’”inglesismo” non motivato è del resto diffuso anche in ambito non medico e specie tra politici, conduttori TV e giornalisti: “Endorsement” per appoggio, “Lock down” al posto di chiusura totale, “No deal” per nessun accordo. I termini inglesi trovano forse una qualche giustificazione nell’ambito di sport nati all’estero, chiamati con nomi ben comprensibili anche dagli italiani: “Corner” per calcio d’angolo, “Cross” per traversone, “Match ball” nel tennis per punto partiita, “Drop shot” per colpo smorzato, “Smash” per schiacciata. Difficile comunque evitare l’inglese per sport nuovissimi o meno noti (lacrosse, squash, curling et al) e, in tal caso, pure i puristi consentirebbero il romanesco “quando ce vo’, ce vo’” (che in inglese…suonerebbe “when it is needed is needed”). Giustificati anche gli acronimi inglesi, purchè esplicitati all’inizio dell‘articolo per renderli accessibili in seguito.

Condividi questo articolo su Fackebook:
  • Facebook