La recente orrenda vicenda di Giulia Cecchettin ammazzata brutalmente dal suo “innamorato” poco prima di laurearsi in Ingegneria dell’informazione, desta uno sgomento così indicibile e diffuso che non si sa proprio come commentarlo specie ricordando gli altri 105 femminicidi registrati in Italia nel 2023. La reazione più immediata per l’assassinio di troppe donne è un dolore profondo, un malessere interiore per i quali non dovrebbe bastare l’indignazione della sola giornata dell’8 marzo. Lo sgomento emotivo, tranne che per i famigliari e le persone vicine alla vittima, dura infatti brevissimo tempo. L’orrore immediato è spesso soppiantato rapidamente dall’interesse più o meno morboso per dettagli sostanzialmente poco significativi se non per il magistrato e la legge: come è stata uccisa la vittima? Quando e perché è successo? C’è anche stata, e quale, violenza sessuale? Questo orrore è però fugace e lo constatiamo anche per eventi più tragici ancora riguardanti non una singola persona, ma migliaia di vittime di guerra (civili e militari) per le quali non è colpevole un singolo individuo ma la follia di troppi. Ricordiamo al riguardo che la tragedia incommentabile di Giulia abbia sottratto a momenti l’interesse mediatico persino alla guerra scatenata dall’ invasione russa dell’Ucraina, all’attacco terroristico atroce di Hamas a Gaza e all’abnorme reazione di Israele. Questo accade per ogni tipo di sciagura individuale o collettiva perché la memoria della gente, se non ravvivata da un’educazione civile e da un’informazione continua e consapevole degli eventi, è variamente distratta e quasi abituata a registrare incresciose vicende quotidiana in ogni parte del mondo. Tornando al femminicidio una considerazione da ribadire è che per ridurre la violenza in aumento sulle donne c’è tendenza delle Autorità e dei politici a ipotizzare soltanto soluzioni “tattiche”, ossia pene più severe per i colpevoli che raramente vengono poi attuate, quali la diffida di avvicinamento alla potenziale vittima, o il “braccialetto”. Si glissa sempre però su una soluzione “strategica” che prevede solo una precoce educazione civica, sentimentale e sessuale dei giovani in particolare e della popolazione in generale, genitori inclusi. In tanti anni di professione, anche se contattato per altri motivi (problemi gastroenterologici funzionali o organici) ho infatti personalmente constatato l’assoluta mancanza di confidenza tra figli, e soprattutto figlie, e i propri genitori. Eppure il sesso nei giovani non è un capriccio indecente, ma una fisiologica esigenza che affiora e che abbisogna solo di essere discussa e regolamentata. Solo la confidenza con i genitori durante la crescita e poi l’informazione scolastica a tutti i livelli attuata con molta naturalezza e con linguaggio adatto (di fatto assai infrequente) può consentire di moderare l’aggressività dei maschi e rimuoverne il senso di colpa (peccato?) del giovane se avverte certi stimoli. Se manca questa “confidenza” con genitori ed insegnanti in genere, l’adolescente maschio l’educazione sessuale se la fa da solo, ricorrendo al passa parola o magari alla pornografia disponibile pure su cellulari e videotape. In tal caso lo scenario è artificiale e completamente privo di una componente fisiologica e benefica della sessualità come l’amore. Quando l’amore è vero, esclude di per sè l’aggressività, la prevaricazione e il femminicidio, non di rado esaltati dal’uso eventuale di droghe. Educare, proteggere e non solo punire dovrebbe essere l’auspicio che non si limiti all’8 marzo di ogni anno.

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