CASTRAZIONE FA RIMA CON CONFUSIONE (9/4/09)

Castrare un individuo di sesso maschile significa privarlo dei testicoli, le ghiandole che producono oltre agli spermatozoi anche il testosterone, con seguente perdita della libido e deficit più o meno completo di erezione. Non è un caso che gli eunuchi fossero i più sicuri guardiani dell’harem. A questo tipo di castrazione chirurgica, si è affiancata da qualche decennio la castrazione chimica circa la quale regna una notevole confusione non solo tra la gente comune, che in buona parte la auspica per comprensibili ragioni emotive (stupri di donne e di bambini), ma non di rado anche tra i politici che la sostengono o che la contrastano. Per attuare la castrazione chimica che mira a provocare atrofia testicolare si ricorre a due ormoni di sintesi, il leuprorelin (enantone) o il depo-provera (medroxyprogesterone), prevalentemente usati il primo per il trattamento del cancro prostatico ed il secondo come anticoncezionale. Ambedue i farmaci bloccano la produzione da parte della ghiandola ipofisi dell’LH, ormone luteinizzante, che normalmente stimola la funzione testicolare. Pertanto, in assenza di questo stimolo ormonale ipofisario i testicoli rimpiccioliscono e cessano di produrre il testosterone, con scomparsa del desiderio sessuale. Senza più desiderio- dicono i sostenitori della legge sulla castrazione chimica- il pedofilo stupratore non ha più la voglia impellente di abusare delle proprie vittime. Di fatto, in molti Paesi la castrazione chimica è già legge (Francia, Germania, Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Canada, California), in alcuni di essi come provvedimento imposto, in altri praticato solo se richiesto dallo stesso stupratore (il più delle volte solo per ottenere una carcerazione più ridotta). Il vero problema è che tale castrazione risulta reversibile, cioè dura finché dura la somministrazione del medicamento, ciò che solleva inevitabili interrogativi: quanto dovrebbe durare? Si praticherebbe fissa per tempi e modi indipendentemente dall’età? Come si dovrebbe o potrebbe controllare che il soggetto si curi con regolarità? Altro problema di fondo è che la sessualità dell’uomo non è soltanto un fatto ormonale, permeata com’è da una quota psichica non testosterone-dipendente condizionata dal costume, dalla famiglia in cui il violentatore è vissuto, dalle sollecitazioni ambientali e mediatiche. Esiste pertanto il concreto pericolo che il soggetto in trattamento “si vendichi” della castrazione che la società gli ha imposto e, proprio perché privato del desiderio sessuale, infierisca in altro modo sulle sue vittime. D’altronde, i controlli sul dopo-castrazione non sono previsti neanche in Paesi che già applicano il provvedimento per cui i dati sulla recidivanza delle violenze compiute dai “castrati” sono sicuramente sottostimati. Questo spinge alcuni (ad esempio i conservatori inglesi) a rimarcare la “insufficienza” della castrazione chimica e a proporre per gli abusatori pedofili unicamente il carcere duro. Il versante  più “sociologico” (sacerdoti, psicologi, associazioni per i diritti civili) insiste invece sulla necessità di una rieducazione del pedofilo colpevole di reato con sedute di psicoteraia già durante la carcerazione. Per i supergarantisti l’optimum sarebbe invece la migliore educazione “a priori” dei cittadini e specie dei giovani, bombardati come sono da messaggi di bullismo, violenze e sesso estremo. Obiettivo nobile, che però non risolverebbe certo il problema nell’immediato. La soluzione non è dunque semplice e i politici dovrebbero cercarla in modo bipartisan con grande sollecitudine, ma senza decreti legge, perché la questione non è evidentemente né di destra né di sinistra.

Titolo originale. Castrazione fa rima con confusione.

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